Tomb Raider e la realtà – Tomb Raider (2013)

La saga di Tomb Raider ha fatto conoscere alle nuove generazioni città perdute, civiltà scomparse e misteri: ma qual è la realtà che si cela dietro la serie? L’obiettivo di questa sezione è proprio quello di esplorare le realtà storiche, culturali ed artistiche che si nascondono dietro le ambientazioni e gli scenari che ci vengono proposti nel corso delle diverse avventure dell’amata Lara Croft. In questa pagina sono analizzate le corrispondenze di Tomb Raider 2013 nella realtà.

Endurance

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 La nave da ricerca presente nel gioco porta lo stesso nome di un’altra famosa imbarcazione utilizzata dall’esploratore antartico Ernest Henry Shackleton per il suo viaggio più famoso. 

Fu varata in Norvegia il 17 dicembre 1912 dai cantieri navali Framnaes Schipyard con il nome di Polaris. Si trattava di un veliero 3 alberi, dotato anche di un motore a singola elica sviluppante una potenza di circa 350 CV, che le consentiva una velocità media di 10 nodi (circa 19 km/h), progettato espressamente per le esplorazioni artiche. 

Le sue dimensioni erano di 43,9 m di lunghezza e 7,6 m di larghezza per una stazza di 350 tonnellate. 

Costruita per conto di armatori norvegesi che la volevano destinare a crociere nel Mare Artico, per problemi economici venne venduta due anni dopo il varo, nel 1914, sottocosto, all’esploratore britannico Shackleton per l’importo di 11.600 sterline. 

Rinominata in Endurance dal nuovo proprietario, salpò verso l’Antartide il 1º agosto dello stesso anno per iniziare la Imperial Trans-Antarctic Expedition. Raggiunse i mari australi dopo 5 mesi di navigazione, ma la sua vita tra i ghiacci perenni fu molto breve, infatti rimase bloccata nel pack il 19 gennaio 1915 e dopo alcuni mesi di agonia dovette essere completamente abbandonata dall’equipaggio il 27 ottobre per affondare definitivamente il 21 novembre, dopo ben 281 giorni dall’incagliamento. 

Della gloriosa nave riuscìrono a sopravvivere solo 3 scialuppe: la Stancomb Willis e la Dudley Docker, due cutter – in pratica due canotti a vela – e la James Caird classica baleniera lunga sei metri con la quale Ernest Shackleton, partendo dall’isola di Elephant, percorse 650 miglia nautiche di avventurosa traversata nei mari antartici fino a raggiungere l’isola della Georgia Australe da dove erano partiti 522 giorni prima, per chiedere soccorso, permettendo così di salvare tutto l’equipaggio. 

Fonte: Wikipedia, Rosso Pompeiano forum e jadenmorretti.blogspot.it

Kublai Khan

L’obiettivo della tragica spedizione dell’Endurance consisteva nella ricerca della flotta perduta del noto condottiero mongolo del Duecento Kublai Khan, un’armata di 4.400 imbarcazioni dirette in Giappone, ma scomparse misteriosamente in mare in circostanze mai chiarite. 

Khubilai Khan tentò due volte di invadere il Giappone in cerca di oro, ma entrambe le volte i samurai resistettero con fermezza, e un tempo inclemente distrusse le sue flotte. Il prodromo fu l’invio di un ambasciatore ufficiale con la richiesta di sottomissione (1266): il messaggio fu respinto. La prima invasione ebbe quindi luogo nel 1274, quando una flotta di un migliaio di navi e una forza di 45 000 uomini furono inviate verso il nord verso l’isola di Kyushu allo scopo di tentarne la conquista. Un violento uragano decimò la spedizione, costringendola a tornare indietro. 

Dopo una seconda ambasceria, la seconda invasione avvenne nel 1281, con una flotta di più di 1.170 grosse giunche da guerra, ciascuna lunga oltre 70 metri. Tuttavia i giapponesi erano preparati per contrastarla e avevano costruito un muro alto alcuni metri sull’isola dov’era previsto che i mongoli toccassero terra, onde impedire ai loro cavalli di sbarcare con facilità. La campagna militare fu organizzata male, tanto che la flotta proveniente dalla Corea raggiunse il Giappone molto prima di quella proveniente dalla Cina. Ancora una volta aiutati da un violento uragano, i giapponesi combatterono con grande valore e sconfissero gli imponenti eserciti cinese e coreano dei mongoli. Samurai giapponesi all’arrembaggio di una nave mongola nel 1281. Moko Shurai Ekotoba, circa 1293. 

L’archeologo Kenzo Hayashida fu a capo della spedizione che scoprì i relitti della flotta della seconda invasione al largo della costa occidentale di Takashima. Le sue scoperte suggeriscono con forza che Khubilai Khan procedette con troppa fretta al tentativo di conquistare il Giappone e quindi cercò di costruire la sua gigantesca flotta in un solo anno (mentre l’impresa ne avrebbe richiesti 5), costringendo i cinesi a usare tutte le navi disponibili, comprese le imbarcazioni fluviali, del tutto inadatte ad affrontare l’alto mare. 

Secondo John Pearson, autore di “Qubilai Khan” (2005): “Il costo di queste sconfitte portò il Khan a svalutare la moneta centrale, aggravando ulteriormente l’inflazione che già cresceva. Inoltre aumentò le tasse. Questi problemi economici indussero il popolo cinese a provare rancore verso i mongoli, che non pagavano le tasse“. In The Mongol Conquerors David Nicole scrive: “Queste disastrose sconfitte distrussero in tutta l’Asia il mito dell’invincibilità dei mongoli“. Aggiungendo inoltre che Khubilai Khan era probabilmente determinato a preparare una terza invasione, malgrado il gravissimo costo delle due precedenti sconfitte sia in termini economici che di prestigio mongolo e suo personale. Soltanto la sua morte avrebbe dunque impedito questo terzo tentativo, cui si opponeva per altro il parere unanime dei suoi consiglieri. 

All’inizio del 2006, le teorie che la flotta di Khubilai fosse composta completamente di barche fluviali furono tuttavia messe in discussione, allorché gli archeologi scoprirono prove della costruzione di chiglie tonde, progettate per la navigazione in mare aperto. Secondo una teoria attuale, una nuova tecnologia mongola nel campo degli esplosivi avrebbe portato alla produzione di ordigni paragonabili alle attuali bombe a mano, la cui efficacia, venuto il momento di usarle contro il Giappone, si sarebbe tuttavia rivelata fallimentare a causa dell’inesperienza dei mongoli nel servirsene. 

Fonte: Wikipedia e il Sito della redazione di Allgame

Il Mare del Drago

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 Col termine giapponese “Ma.No.Umi”, “Mare del Drago”, si indica un settore dell’Oceano Pacifico a forma di triangolo che va dalla baia di Tokyo, passa per le isole Ogasawara, arriva fino alle isole di Guam e Yap, per poi risalire fino alla stazione di misurazione Nojima-Zaki, a Tokyo, il quale, trovandosi agli antipodi del Triangolo della Bermude, sarebbe conosciuto dai locali pescatori da più di mille anni. Tale triangolo del Drago costuisce una delle zone al mondo con una maggior quantità di deviazioni dell’ago magnetico, di disfunzioni e interruzioni alle comunicazioni radio, di improvvise apparizioni di ondate gigantesche, di uragani intensi, improvvisi e ben localizzate, di grossi vortici e di improvvise e dense nebbie ben localizzate. E oltre a tutto questo sarebbero state segnalate la scomparsa di innumerevoli aerei, navi e sommergibili, insieme agli equipaggi e agli eventuali passeggeri. Da sottolineare l’enorme numero di sommergibili sovietici con testate nucleari scomparsi in tali acque del Pacifico. 

Mare del diavolo

 Data scomparsa Classe Propulsione Località Perdite
aprile del 1968 Golf diesel/elettrico nord-ovest del Giappone 86 morti
1970 Alfa nucleare mare del Giappone ignoto
1971 Yankee nucleare presso l’isola di Guam nessun superstite
settembre 1974 Golf 2 diesel/elettrico sud-ovest del Giappone nessun superstite
novembre 1976 Foxtrot diesel/elettrico mar del Giappone nessun superstite
1977 non identificato nucleare mar della Cina meridionale ignoto
agosto 1980 Echo 1 nucleare mar del Giappone ignoto
ottobre 1981 Whiskey diesel/elettrico nord-ovest del Giappone ignoto
settembre 1983 Charlie nucleare mar del Giappone 90 morti
marzo 1984 Victor 1 nucleare a ovest del Giappone ignoto
settembre 1984 Echo 2 nucleare 60 miglia a ovest del Giappone ignoto
settembre 1984 Golf 2 diesel/elettrico a nord-ovest di Okinawa ignoto
gennaio 1986 Echo 2 nucleare mar del Giappone ignoto

La tipica onda che si incontra nelle acque comprese nel Ma.No.Umi è chiamata col termine giapponese “sankaku-nami”, “onda a triangolo”. Si tratta di onde che sembrano dirigersi verso una nave da tre direzioni diverse. Da notare che il Triangolo del Drago si trova in una zona situata a est di una grossa massa continentale, dove lasciano il posto a profondi abissi. E i suoi dintorni sono una delle zone tettonicamente più attive del mondo. Esistono cronache di navi scomparse nel Ma.No.Umi risalenti a più di mille anni – alcuni riferiscono di scomparse risalenti a tremila anni fa -. Durante la seconda guerra mondiale nella zona scomparvero numerose navi belligeranti e quindi tali scomparse non furono ritenute di carattere misterioso. Invece proprio in quelle acque avvenne ciò che in seguito gli studiosi del mistero considereranno inesplicabile: la scomparsa contemporanea di ben 5 navi da guerra giapponesi. Era il 1942, la squadra navale, composta da tre cacciatorpediniere e due piccole portaerei, stavano svolgendo delle manovre quando non si seppe più nulla. Sembravano come volatilizzate. In seguito sia la Marina inglese che quella statunitense affermò che di tale avvenimento non sapeva nulla. Poi verso la fine del conflitto accadde un altro evento alquanto enigmatico, che fu riportato dallo scrittore Rufus Drake in “The Deadly Mystery of Japan’s Bermuda Triangle”. Shiro Kawamoto, comandante di uno stormo di caccia tipo “zero”, affermò che prima dello sbarco americano di Iwo Jima, aveva ricevuto un ultimo messaggio radio dal pilota di un aereo da ricognizione Kawanishi, il quale dopo aver riferito che nello spazio aereo da essi controllato non c’erano aerei americani, comunicò un ultimo messaggio: “Sta accadendo qualcosa nel cielo…si sta aprendo..”. Dopo di che il velivolo da ricognizione spariva per sempre. Successivamente il Triangolo del Drago inghiottirà e farà scomparire nel nulla molte navi, aerei e persone. Di tanto in tanto sono apparsi resoconti di sparizioni sul quotidiano nipponico “Asahi Shimbun” e di riflesso su omologhi quotidiani anglossassoni, filippini e cinesi di Hong Kong. C’ è da chiedersi se non ci fu anche sui quotidiani giapponesi una certa censura operata da qualche agenzia governativa segreta nipponica. Oggi, col senno del poi, possiamo dire che qualche azione di cover-up ci fu. Ad ammetterlo pubblicamente è stato, nel 1977, il maggior-generale Hideki Komura, il responsabile dell’Ufficio del Gabinetto di Ricerca ( Nai-Cho); lavoro che oggi verrebe effettuato presso una sezione del MITI, il Ministero del Commercio e dell’Industria giapponese, con sede a Tokyo. Secondo documenti declassificati, sembrerebbe che, dati i vari sommergibili sovietici e almeno un aereo USA con a bordo una bomba atomica siano andati perduti, nel Triangolo del Drago si troverebbero almeno 126 testate nucleari. Che fine hanno fatto? Forse alcuni sono stati recuperati ? Il naturalista statunitense Ivan T. Sanderson ha affermato che sulla Terra esisterebbero ben 12 punti del diavolo ad intervalli regolari di 72 gradi lungo tutto il pianeta, posizionati a 36 gradi di latitudine nord e sud, dove misteriosi vortici magnetici di origine sconosciuti farebbero sparire navi ed aerei. Nonostante le varie argomentazioni tecniche e l’instabilità climatica e geologica del territorio inserito nel triangolo del Drago, resta da spiegare la presenza degli altri 11 triangoli del mistero, come quello del più famoso triangolo delle Bermuda. Si può solo sottolineare il fatto che l’insieme dei tragici eventi e delle misteriose sparizioni nei 12 triangoli maledetti sono ben lungi dall’essere esaurientemente e definitivamente spiegati, così come le sparizioni rimangono inspiegate e inspiegabili… 

Fonte: Rosso Pompeiano forum e Misteriefenomeni.com